Ho preso un valium 3 giorni fa e mi hanno revocato la patente. È possibile? Si sta parlando molto del nuovo disegno di legge presentato dal Ministro Salvini, già approvato alla Camera ed in attesa di approvazione definitiva al Senato, che modificherà il Codice della Strada in vari punti. Tra le numerose modifiche proposte, quella che fa più discutere è probabilmente la modifica dell’art. 187 del C.d.S., oggi rubricato come “Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti” e che al comma 1 punisce “chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”. La nuova norma sarà rubricata come “Guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti” e punirà “chiunque guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”. Aver eliminato lo stato di alterazione psico-fisica tra i requisiti di punibilità consentirà la condanna di chiunque si sia messo al volante “dopo” aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope anche se mentre guida si trova in uno stato normale, non alterato, perché magari l’assunzione è avvenuta la sera prima o addirittura una settimana prima. Le sostanze stupefacenti o psicotrope, infatti, lasciano tracce nel sangue (o nelle urine e nella saliva) per vario tempo: solo facendo dei test salivari/ematici o alle urine gli organi accertatori potranno verificare la precedente assunzione, e queste sostanze restano nei nostri liquidi corporei per lungo tempo. La modifica è sulla bocca di tutti, soprattutto degli assuntori abituali di cannabinoidi, che probabilmente costituiscono la maggioranza degli interessati a queste novità, ma ci si dimentica di chi, diversamente, assuma – abitualmente o occasionalmente – anche medicinali classificati come sostanze psicotrope, si pensi allo xanax, al valium o al tavor. Facciamo questa ipotesi: il medico mi ha prescritto dello xanax (o meglio dell'alprazolam - principio attivo) da assumere la sera per calmare uno stato d’ansia. La mattina devo recarmi a lavoro e non mi trovo in uno stato di alterazione psico-fisica. Mi fermano (anche mentre torno da lavoro) sottoponendomi ad un controllo (oppure vengo coinvolto in un incidente, anche senza averne colpa alcuna, e come da prassi – legittima o meno – delle Forze dell’Ordine, vengo condotto in ospedale ove mi vengono imposte delle analisi) ed il principio attivo viene trovato nel mio sangue/urine/saliva. Sanzione? Sospensione della patente di guida da uno a due anni e, nel caso in cui non superi la successiva visita medica disposta dal Prefetto, revoca della patente (ed impossibilità di conseguirla se non dopo 3 anni). Se ho causato un indicente (anche un semplice tamponamento che trova causa nel mancato rispetto della distanza di sicurezza) viene sempre disposta la revoca della patente. A questo si aggiungono un’ammenda da un minimo di €. 1.500 ad €. 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno e la confisca del veicolo di mia proprietà. E se lo Xanax lo avessi assunto 2 giorni prima? Stessa sorte. Questo perché queste sostanze (benzodiazepine) lasciano tracce nel sangue dalle 6 alle 48 ore dall’assunzione, nella saliva per circa 3 giorni e nelle urine anche fino a 20 giorni. E se al posto dello Xanax io avessi assunto della codeina (presente, ad esempio, nel Tachidol), del Diazepam (Valium) del Lorazepam (Tavor) ecc…: Patente sospesa da 1 a 2 anni (o revoca anche in caso di piccolo incidente causato dalla mia condotta imprudente e NON dallo stato di alterazione, che, in questi casi, è certamente insussistente), confisca del veicolo, ammenda e arresto. E se mi avessero somministrato della morfina dopo un intervento chirurgico ed una settimana dopo sono già alla guida della mia auto? Non si scappa dalla sanzione. Non vi sembra una sanzione sproporzionata, illegittima ed incostituzionale? Un conto è guidare alterati da queste sostanze (nel bugiardino dei succitati farmaci è espressamente indicato il divieto di mettersi alla guida in presenza sotto l’effetto degli stessi), altro conto è farlo, genericamente, “dopo” averli assunti, anche dopo 3-4 giorni o, per assurdo, una settimana. L’art. 187 del Codice della Strada dovrebbe tutelare la sicurezza nelle strade e non mirare a scoraggiare l’assunzione di droghe (fine legittimo ma da raggiungere, semmai, con altri mezzi): così facendo, infatti, non solo si punirà chi avrà assunto droghe la settimana prima essersi messo alla guida, ma anche chi assume farmaci classificati come sostanze psicotrope. Questo, a giudizio di chi scrive e non solo, non è accettabile, in nessuno dei due casi. La speranza è che in Senato tale norma non superi l’esame o che il Presidente della Repubblica si rifiuti di promulgarla in quanto incostituzionale: diversamente sarà onere dei Giudici, sollecitati dagli Avvocati difensori di sfortunati pizzicati alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma per farla dichiarare illegittima nella parte in cui punisca la condotta del mettersi alla guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope senza il previo accertamento di un effettivo stato di alterazione psico-fisica. Per completezza clicca qui per trasferirti sul sito del Ministero della Salute e trovare tutte le tabelle ove sono elencate le sostanze stupefacenti e psicotrope previste dalla legge. Avv. Riccardo Giroldini Coronavirus e figli di genitori separati: due settimane a testa e colloqui giornalieri su Skype5/4/2020 E' quanto deciso dal Tribunale di Verona con ordinanza del 27 marzo dopo che il padre (presso il quale era collocata la minore) aveva presentato ricorso per chiedere che fossero sospesi, in questo periodo di quarantena, i diritti di visita della madre, onde evitare che ciò potesse aumentare il rischio di contrarre il virus. Il Giudice Veronese, con un provvedimento "originale" ha respinto il ricorso e disposto che la figlia rimanga in via alternata presso l'abitazione di ciascun genitore (resdenti in diversi comuni) per uguali periodi di 15 giorni, questo finchè durerà l'emergenza. Due settimane senza vedere uno dei propri genitori sono comunque parecchie e per ovviare a ciò è stato disposto che ogni giorno alle 18:30 (salvo diverso accordo sull'orario) la figlia videochiami l'altro genitore. Inoltre, posto che la madre è priva di patente, il Giudicante ha altresì disposto che il padre fosse onerato di andare a prenderla e riportarla presso l'abitazione della madre nei tempi stabiliti. La pronuncia del Tribunale di Verona è interessante e tenta di risolvere il dibattito che si è aperto tra operatori del diritto sui diritti di visita ai tempi dell'epidemia; sia chiaro, vedere i propri figli (minori) è certamente un diritto anche in tempi di quarantena e le indicazioni date dal Viminale confermano la possibilità di spostarsi per andare a trovare i propri figli secondo le modalità previste nei provvedimenti che dispongono sui diritti di visita, ma ci si chiedeva se in questo momento tali diritti potessero essere esercitati in sicurezza e se vi fossero altre strade percorribili. C'è, infatti, chi ritiene che debba prevalere il diritto alla salute pubblica e che quindi tali visite debbano essere vietate, chi invece sostiene che il diritto del figlio minore di poter vedere entrambe i genitori non possa essere limitato fino a tal punto; personalmente il nostro consiglio è quello di usare il buon senso, stringere i denti e ridurre le visite, magari sostituendone alcune con l'aiuto della tecnologia (sacrificio non certo di poco conto per il genitore non collocatario), ma ogni situazione è diversa e non è sempre facile fare determinate scelte: il Tribunale di Verona ha offerto questa soluzione alternativa. Avv. Riccardo Giroldini Dopo l'ultimo discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri si ha come l'impressione che vi sia stato un inasprimento delle pene nei confronti di chi non rispetta le prescrizioni in materia di Covid-19. Tuttavia così non è, o meglio, se si guarda solo il portafoglio forse è così. La sanzione viene infatti depenalizzata (non è più reato) ed avrà effetto retroativo (verrà applicata anche a tutti quelli che sono già stati "pizzicati" a girovagare senza motivo valido). Tuttavia al posto dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenta fino a 206 euro è prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400 a 3000 euro. Se l'infrazione è compiuta con l'utilizzo di un veicolo la sanzione è aumentata fino ad un terzo (e quindi da 533 a 4.000,00 euro). I denunciati della prima ora saranno invece costretti a pagare una somma pari ad € 200,00 (la metà del minimo). Nessun reato e sanzione leggermente inferiore all'ammenda prevista dall'art. 650 del codice penale. Potrà non sembrare corretto ma immaginatevi il lavoro immane che avrebbero dovuto affrontare le Procure della Repubblica (dovendo contestare migliaia e migliaia di reati) e quanto arebbero rallentato il loro lavoro i Tribunali (trovanosi di fronte altrettante migliaia di opposizioni ai Decreti penali di condanna inviati dalle Procure). Le attività invece, oltre alla sanzione pecuniaria, saranno costrette a chiudere l'attività da 5 a 30 giorni. Nel caso in cui si venisse "beccati" più di una volta le sanzioni pecuniarie, dalla seconda violazione, sono raddoppiate (da €. 800 a €. 6.000 o da €. 1.066 a €. 8.000 nel caso in cui si utilizzi un veicolo) e la sanzione della chiusura dell'attività è pari a 30 giorni (non più da 5 a 30). Sarà il Prefetto a decidere la sanzione applicabile nel caso concreto tra i minimi ed i massimi sopra indicati. Le Regioni potranno introdutrre regole diverse sulla base dell'andamento epidemiologico nei loro territori, senza che tuttavia tali misure possano incidere sulle attività produttive essenziali/strategiche. E' fatto altresì divieto ai Sindaci di adottare ordinanze che contrastino con le misure statali o, se previste, regionali. In ultimo, allego di seguito il testo del Decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed il nuovo modello di autocertificazione che dovrà essere utilizzato. Avv. Riccardo Giroldini
I - COSA POSSO O NON POSSO FARE? Emergenza Coronavirus: siamo stati catapultati in questa spiacevolissima situazione così in fretta che sorgono tanti dubbi su cosa sia possibile o non sia possibile fare. Faccio sin da subito una premessa, è necessario stare a casa il più possibile e quando si ha un dubbio la scelta su cosa fare deve essere sempre la stessa: stare a casa. Detto ciò proviamo ad analizzare più a fondo la questione; le motivazioni per cui è possibile spostarsi da casa propria (e non dal proprio Comune di residenza, come si sentiva alla TV tre giorni fa) sono tre e le conosciamo tutti: 1) lavoro; 2) salute; 3) comprovate situazioni di necessità. I dubbi sorgono su cosa siano queste comprovate situazioni di necessità. Una prima spiegazione tecnica arriva dalla Direttiva del Ministero dell'Interno (successiva al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) la quale afferma che: "in sostanza, devono essere identificate in quelle ipotesi in cui lo spostamento è preordinato allo svolgimento di un'attività indispensabile per tutelare un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile". Ma in parole povere, cosa posso fare? Girano vademecum che permettono di fare la passeggiata (con o senza il proprio cane), fare una corsa, andare a fare la spesa. Al TG dicono una cosa, sui giornali nazionali un'altra, sui quotidiani locali un'altra ancora. Questo accade anche perchè i Prefetti sparsi sul territorio nazionale danno indicazioni diverse gli uni dagli altri su cosa appaia possibile fare o no (spesso sulla scorta di situazioni più meno gravi all'interno della provincia di competenza), a volte cambiando le indicazioni fornite da loro stessi man mano che i contagi aumentano. A mio avviso, per stare sul sicuro, conviene proprio non uscire di casa se non per fare la spesa, che va fatta nel proprio Comune di residenza o, in caso di Comuni di grandi dimensioni, nei market più vicini a casa propria. Lo scopo della norma giuridica che mi consente di spostarmi solo per motivi di necessità è, infatti, quello di evitare contatti ed altresì, a mio parere, quello di evitare inutili occasioni di incontro tra persone residenti in paesi diversi. Se, per esempio, dovesse in futuro evidenziarsi la presenza di un focolaio a Polesella, perchè oggi dovrebbe essermi permesso andare a fare la spesa in un supermercato di Rovigo, con il rischio di diffondere anche il virus oltre i confini del Comune di residenza? E se il market del mio paese è poco fornito o ha i prezzi troppo alti? Pazienza, ci si deve accontentare di quel che si trova e dei prezzi offerti. E per quel che attiene la possibilità di fare passeggiate o fare un po di moto all'aria aperta? a prima domanda da farsi è se la passeggiata possa inquadrarsi come una situazione di necessità e quindi se sia un'attività indispensabile per tutelare un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile. E' davvero necessario uscire? E' una questione di interpretazione della norma giuridica. Il benessere psicofisico è certamente importante e non serve che spieghi quanto serva fare un po di moto, tuttavia si pensi che a Codogno stanno igenizzando le strade principali e che probabilmente molti di voi sono in grado di seguire un video su youtube di un qualsiasi personal trainer e fare quello che serve per mantenersi attivi nel proprio salotto (a Polesella la palestra locale fornisce su richiesta programmi ai propri iscritti per allenarsi a casa). Il Prefetto di Rovigo (ma così è a livello nazionale) afferma che la passeggiata o lo sport all'aperto non sono vietati ma FORTEMENTE SCONSIGLIATI. Tuttavia su Polesine24.com, in un articolo dove vengono riprese le parole del Prefetto, si intuisce che alla domanda sulla possibilità di fare o meno passeggiate il Prefetto Dott.ssa De Luca ha risposto affermando che " L'interpretazione più diffusa è che una corsa fatta da soli, così come una passeggiata, non sia vietata ". Questa frase è importante perchè si parla di "interpretazione" della disposizione legislativa che consente gli spostamenti nei tre casi sopra indicati. Per stessa ammissione del Prefetto, quindi, esistono diverse interpretazioni, alcune consentono la passeggiata, altre no. La più diffusa oggi, a quanto pare, la consente. Ma domani? E se i militari accertatori al controllo non la dovessero pensare così? Se i contagi dovessero aumentare ancora? In Liguria si leggono notizie per le quali la passeggiata si può fare ma solo con certificato del medico curante che ne attesti la necessità (si pensi all'anziano con qualche problema cardio-circolatorio). E quindi? Quindi è mia personale opinione che dovreste stare in casa sempre e che, diversamente, potreste essere i primi a vedervi contestato il reato di cui all'art. 650 c.p. per essere usciti a fare una passeggiata o un po di sport, anche se soli. E per far fare i bisogni al cane? Ieri dopo una conferenza con il Prefetto, il Sindaco di Polesella Leonardo Raito ha affermato che l'indicazione è quella che sia possibile uscire con il cane solo se non si disponga di un cortile ove fargli fare i bisogni, ma solo nelle vicinanze della propria abitazione (suggerirei non più di 50-100 metri). Sono consapevole che quanto scritto sia diverso da quanto si può leggere altrove, ma considerate che normalmente, per capire la reale portata di una norma giuridica (la sua interpretazione in relazione al caso concreto), bisogna aspettare che i primi Giudici si pronuncino su come vada applicata: in questo caso, però, non c'è tempo. Fatevi una domanda, se domani vi contestano il reato di cui all'art. 650 c.p. per una passeggiata e decidiate di opporvi al decreto penale di condanna che vi arriverà, cosa deciderà il Giudice (presumibilmente non prima di un paio di anni da oggi, viste le tempistiche della Giustizia) se questa infezione dovesse aggravarsi ancor di più in futuro? Meglio evitare e stare a casa, o sbaglio? II - COSA RISCHIO IN CONCRETO? La sanzione prevista non è semplicemente amministrativa, come una multa per eccesso di velocità, non si risolve tutto con il pagamento. Si tratta di un reato penale che prevede l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a 206 euro. Pagando l'ammenda di €. 206 rimane il reato sulla vostra "fedina" penale (o meglio certificato penale), con tutte le conseguenze del caso. Per eliminare questa spiacevole conseguenza c'è la possibilità di opporsi (entro 15 giorni dalla ricezione) al decreto penale di condanna che vi sarà notificato per chiedere di essere ammessi all'istituto dell'oblazione. Se il Giudice presta l'assenso, pagando la somma di €. 103,00 l'illecito penale si trasforma in illecito amministrativo (il reato si estingue e la fedina penale rimane "pulita"). Ovviamente tale procedura comporta il doversi sobbarcare le spese legali per poter avviare e concludere tale procedura. Come vedete rimanendo a casa si evitano molti problemi e quindi perchè rischiare? Avv. Riccardo Giroldini Le discussioni tra genitori sul mantenimento del figlio sono causa di vari conflitti tra gli stessi che spesso finiscono in Tribunale. Chi paga il dopo scuola? Chi paga i vestiti? Chi paga la mensa scolastica? Ed il trasporto? Mille e più sono le fonti di litigio e la poca chiarezza in materia non aiuta certo a mantenere un rapporto cordiale che tanto gioverebbe alla crescita ed alla salute psicofisica del figlio. Sembra assurdo ma ogni Tribunale ha le sue regole, così come gli avvocati, primi consiglieri dei propri clienti, hanno opinioni diverse su cosa debba o non debba essere incluso nell'assegno di mantenimento e cosa debba intendersi, invece, per spesa straordinaria. E la vittima, mi preme sottolinearlo, è sempre il figlio, vessato dai continui litigi dei genitori che troppo spesso riversano nei suoi confronti la rabbia nei confronti dell'altro genitore. Avevo già parlato del tema in un precedente articolo che potete leggere QUI, in cui avevo tentato di fare un po di chiarezza in questo marasma di diverse opinioni. La soluzione all'incertezza può trovarsi solo a mezzo di un accordo tra tutti gli operatori del diritto che sia volto a definire preventivamente cosa rientri o meno nell'assegno di mantenimento: e così il Consiglio Nazionale Forense e la Corte d'Appello di Milano, in collaborazione con le associazioni del settore, hanno elaborato due distinti documenti, pressoché identici nei contenuti, contenenti le linee guida da seguire in materia. In buona sostanza sono stati prodotti degli elenchi in cui si descrivono quali siano le spese extra rispetto all'assegno di mantenimento da dividersi tra i genitori con o senza il previo consenso di entrambe. Interessante il fatto che, per quel che riguarda le spese straordinarie da concordarsi tra i genitori (es. corso di musica), qualora uno dei genitori chieda per iscritto (anche con un messaggio whatsapp) all'altro se concorda o meno con la spesa da sostenere, è previsto che, in caso di mancata risposta entro un determinato termine (20 giorni per il CNF e 10 giorni per la Corte d'Appello di Milano), la spesa si intenderà concordata e sarà onere del genitore che col silenzio pensava semplicemente di ignorare la domanda, partecipare alla spesa per la quota del 50%. Chi tace acconsente insomma! Ecco, quindi, gli elenchi elaborati dal Consiglio Nazionale Forense: SPESE COMPRESE NELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO: vitto, abbigliamento, contributo per spese dell'abitazione (comprese le utenze), spese per tasse scolastiche (eccetto quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria, mensa, medicinali da banco (comprensivi anche di antibiotici, antipiretici e comunque di medicinali necessari alla cura di patologie ordinarie e/o stagionali), spese di trasporto urbano (tessera autobus e metro), carburante, ricarica cellulare, uscite didattiche organizzate dalla scuola in ambito giornaliero; baby sitter se già esistenti nell'organizzazione familiare; prescuola, doposcuola se già presenti nell'organizzazione familiare prima della separazione o conseguenti al nuovo assetto determinato dalla cessazione della convivenza, a condizione che si tratti di spesa sostenibile; trattamenti estetici (parrucchiere, estetista), attività ricreative abituali (cinema, feste ed attività conviviali), spese per la cura degli animali domestici dei figli (salvo che questi siano stati donati successivamente alla separazione o al divorzio). SPESE EXTRA ASSEGNO OBBLIGATORIE, per le quali non è richiesto l'accordo tra i genitori: libri scolastici, spese sanitarie urgenti, acquisto di farmaci prescritti ad eccezione di quelli da banco, spese per interventi chirurgici indifferibili sia presso strutture pubbliche che private, spese ortodontiche, oculistiche e sanitarie effettuate tramite il SSN in difetto di accordo sulla terapia con specialista privato; spese protesiche; spese di bollo e di assicurazione per il mezzo di trasporto, quando acquistato con l'accordo di entrambi i genitori." Tutte le spese extra assegno, subordinate o meno al consenso dei genitori, devono essere debitamente documentate. SPESE EXTRA ASSEGNO subordinate al consenso di entrambi i genitori, suddivise nelle seguenti categorie: 1. Scolastiche: iscrizioni e rette di scuole private, iscrizioni, rette ed eventuali spese alloggiative, ove fuori sede, di università pubbliche e private, ripetizioni; frequenza del conservatorio o scuole formative; master e specializzazioni post universitari; frequentazione del conservatorio o di scuole formative; spese per la preparazione agli esami di abilitazione o alla preparazione ai concorsi (quindi l'acquisto di libri, dispense ed eventuali pernottamenti fuori sede); viaggi di istruzione organizzati dalla scuola, prescuola, doposcuola; servizio di baby sitting laddove l'esigenza nasca con la separazione e debba coprire l'orario di lavoro del genitore che lo utilizza; viaggi studio e d'istruzione, soggiorni all'estero per motivi di studio; corsi per l'apprendimento delle lingue straniere; 2. Spese di natura ludica o parascolastica: corsi attività artistiche (musica, disegno, pittura), corsi di informatica, centri estivi, viaggi di istruzione, vacanze trascorse autonomamente senza i genitori, spese di acquisto e manutenzione straordinaria di mezzi di trasporto (mini car, macchina, motorino, moto); conseguimento della patente presso autoscuola private. 3. Spese sportive: attività sportiva comprensiva dell'attrezzatura e di quanto necessario per lo svolgimento dell'eventuale attività agonistica; 4. Spese medico sanitarie: spese per interventi chirurgici, spese odontoiatriche, oculistiche e sanitarie non effettuate tramite SSN, spese mediche e di degenza per interventi presso strutture pubbliche o private convenzionate, esami diagnostici, analisi cliniche, visite specialistiche, cicli di psicoterapia e logopedia. 5. organizzazione di ricevimenti, celebrazione e festeggiamenti dedicati ai figli. Come si può notare, non sono certo poche le spese già incluse nell'assegno di mantenimento, per cui, nel momento in cui si andrà a determinare la misura dello stesso, dovrà tenersi conto di tutto ciò e delle concrete esigenze del figlio. Se tali linee guida verranno seguite anche dai Tribunali, ci saranno meno litigi e ciò non potrà far altro che giovare a tutti quanti, in primis ai figli. Polesella, 09.05.2018 Avv. Riccardo Giroldini Spesso mi viene chiesto se dopo tre lettere di richiamo il datore di lavoro possa licenziare legittimamente il lavoratore e quando rispondo che non è così mi pare che la gente fatichi a credermi per quanto è radicata questa idea nelle loro menti. Non è così per davvero! Se arrivo in ritardo per qualche minuto per tre volte non arò certo licenziato, e non c'è legge che tenga, è il buon senso a dircelo, sempre che non siate piloti di aereo. Tralasciando facili battute e ragionamenti fin troppo semplicistici, la questione merita alcune precisazioni. I contratti collettivi che vengono applicati al rapporto di lavoro (se richiamati nel contratto di assunzione) determinano le sanzioni applicabili al lavoratore nel caso in cui lo stesso commetta un illecito, e queste sono il richiamo verbale, il richiamo scritto, la multa, la sospensione ed infine il licenziamento. E' il contratto collettivo che prevede quanto grave sia un determinato comportamento tenuto dal lavoratore e che sanzione, di conseguenza, applicare. Sbaglio qualcosa (per esempio non rispetto un determinato protocollo stabilito, ad esempio, per la sicurezza o nei rapporti con la clientela) o arrivo in ritardo? Richiamo scritto. Picchio il mio datore di lavoro? Sarò licenziato. Fino a qui pochi dubbi. Ma se iniziassi ad arrivare in ritardo più volte rischierei solamente una serie infinita di richiami senza ulteriori sanzioni? No, i contratti collettivi normalmente prevedono che in caso di ripetizione (o meglio, recidiva) dei comportamenti che fanno scattare la sanzione del richiamo scritto, si applicherà la più grave sanzione della multa (corrispondente, per esempio, alla retribuzione di 4 ore di lavoro), ma NON al licenziamento.
Nel settore metalmeccanico-artigiano, il ritardo ingiustificato viene sanzionato con la multa. Si può esser licenziati per esser arrivati in ritardo più volte? Si, ma solo nel caso in cui i ritardi ingiustificati siano 5 nel corso di un anno. Se i ritardi sono 3 si rischia la sospensione dal lavoro (e dalla retribuzione) per un massimo di dieci giorni. Ma quindi quando può essere intimato il licenziamento per recidiva? Ebbene, continuando ad utilizzare l'esempio dei dipendenti nel settore metalmeccanico-artigiano, possiamo affermare che il licenziamento scatterà dopo aver tenuto per cinque volte nell'arco di un anno un comportamento illecito che comporti la sanzione della multa ovvero dopo la terza volta che sia compiuto un illecito che comporti la sanzione della sospensione (per esempio, dopo essersi presentati per la tre volte ubriachi a lavoro). Per cui alla terza lettera di richiamo si rischia il licenziamento? No, ma lo si rischia dopo essersi presi cinque multe o tre sospensioni nell'arco di 365 giorni (se per esempio arrivassi ubriaco a lavoro due volte nel gennaio 2018 ed una terza nel febbraio 2019 non mi potrebbero licenziare legittimamente perché i fatti contestati non sarebbero ricompresi in 365 giorni). Questa la regola stabilita nella maggior parte dei contratti collettivi, ma è sempre così? Mi spiego, se arrivassi in ritardo a lavoro di alcune ore per cinque volte in un anno sarei giustamente licenziato, ma se il mio ritardo fosse di qualche minuto anziché di qualche ora? Sarebbe giusto il licenziamento? Sarebbe PROPORZIONATO alle mie inadempienze? Direi di no. Deve essere rispettato il principio di proporzionalità tra fatto compiuto e sanzione irrogata, e sebbene piccoli e ripetuti ritardi potranno comportare multe e sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione, ritengo che gli stessi non potrebbero condurre al licenziamento. In ogni caso è sempre bene leggere il contratto collettivo applicato al proprio rapporto di lavoro e magari richiedere un consiglio a qualche esperto. Polesella, 23.01.2018 Dott. Riccardo Giroldini Quella delle violenze domestiche in ambito familiare è una tematica molto complessa; molti potrebbero essere gli ostacoli nel farsi coraggio e nel prendere una decisione tanto importante quanto necessaria per se stessi e per i propri figli e molte sono le domande ed i dubbi che pervadono la mente di una persona costretta a subire qualcosa che mai avrebbe pensato potesse accadergli tra le mura della propria casa. Dalla riluttanza nel porre fine ad un matrimonio alla semplice vergogna ed imbarazzo di confessare di aver sposato un uomo violento, dal ritenere non gravi alcune aggressioni al credere che lasciare tutto così com'è sia la cosa migliore per i propri figli. Anche l'aver ricevuto una determinata educazione, religiosa e non, potrà influire in tal senso (per es. appartenere a famiglie cattoliche all'antica che credono che il matrimonio non debba avere fine o a famiglie musulmane in cui la donna è subordinata all'uomo). Queste, dunque, le difficoltà, che psicologi e vittimologi potrebbero elencare e descrivere molto meglio di un giurista. Ma andiamo oltre, analizziamo il caso in cui la vittima si riesca a disfare di queste sue false credenze (anche senza esserne convinta al 100%, poiché il dubbio è un morbo che fatica ad abbandonare la mente) e comprenda che le violenze non possano proseguire oltre, né per se stessa né per i propri figli, i quali, lo si vuol sottolineare, subiscono tali accadimenti come fossero anch'essi vittime delle aggressioni (potrebbero diventare violenti con gli altri, con la madre stessa o con il padre ma anche con se stessi, potrebbero tagliarsi, mordersi o tentare addirittura il suicidio; saranno aggressivi nei confronti di altri bambini con ovvie conseguenze per quel che riguarda la loro istruzione/educazione e, da adulti, potrebbero essere loro stessi autori di violenze domestiche). Mettiamoci, quindi, nei panni della vittima. Sa che è sbagliato e quindi che fare? Le amiche e i media dicono "denuncialo", ma quanto questo potrebbe risolvere il problema? Magari potrebbe aggravarlo e magari nemmeno si arriverà ad una condanna, o perché non ci sono prove o perché verrà ritirata la denuncia-querela. Troppe incertezze, troppi dubbi su quello che sarà. E allora il consiglio migliore non sarà "denuncialo" ma "informati". Questo e solo questo è lo strumento attraverso il quale è possibile uscire da tali situazioni. Come si può credere, infatti, che una persona vittima di violenze, nel caos più totale, possa prendere una decisione senza sapere cosa accadrà in seguito, aggiungendo incertezze alle incertezze. Vi sono molte associazioni pronte a dare supporto immediato ed efficace alle quali è bene rivolgersi. Scopo di tale articolo è quello di informare della presenza di alcuni strumenti molto utili, che potrebbero, in alcuni casi, essere di grande aiuto al prevenire un aggravamento delle violenze nel momento in cui ci si decidesse di farsi avanti: tali sono gli ordini di protezione di cui agli artt. 342 bis e ter del c.c.. In caso di condotte che pregiudicano l'integrità fisica della vittima sarà infatti possibile rivolgersi al Tribunale con ricorso per ottenere l'emanazione dei predetti ordini di protezione. Innanzitutto è bene sottolineare come si tratti di un ricorso e non un atto di citazione: la differenza sta nel fatto che l'atto di citazione deve essere spedito (notificato) all'altra persona e poi depositato in Tribunale, mentre il ricorso viene immediatamente depositato in Tribunale; così facendo l'aggressore non avrà immediata notizia dell'inizio di una "causa" nei suoi confronti. Inoltre il Giudice, letto il ricorso, in caso di urgenza, potrà emanare un provvedimento senza che l'autore delle violenze venga al momento interpellato, provvedimento che conterrà le misure necessarie ad evitare nuove aggressioni. Ma quali sono tali misure? 1) ordine di allontanamento della persona violenta dalla casa e divieto di avvicinarsi senza permesso del giudice; 2) divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima; 3) ordine di pagare un assegno di mantenimento a moglie e figli, anche direttamente dal datore di lavoro dell'autore delle violenze; 4) ordine di intervento di associazioni che abbiano quale fine il sostegno e l'accoglienza di donne e minori vittime di maltrattamenti. In buona sostanza, quindi, nei casi di urgenza, la vittima ha la possibilità di ottenere un provvedimento di questo tipo senza che l'aggressore ne abbia notizia fino alla esecuzione dell'ordine di allontanamento e ciò ha un rilievo fondamentale. Le modalità di attuazione di quanto ordinato sarà contenuto nello stesso decreto del giudice, che potrà prevedere l'intervento della forza pubblica. Riveste molta importanza la possibilità di ottenere immediatamente il pagamento di un assegno di mantenimento: si pensi al caso in cui la vittima delle violenze rimanga inerte proprio perché economicamente dipendente dal reddito dell'altra persona (tipico caso delle famiglie monoreddito). Allo stesso modo può essere fondamentale l'apporto delle associazioni, per dare un sostegno morale e psicologico che è fondamentale in certe situazioni: fare la cosa giusta, infatti, può non esser così facile e nemmeno potrebbe esser capito dagli amici della coppia o dalla stessa famiglia d'origine della vittima. Ovviamente l'autore delle violenze potrà, successivamente, difendersi in giudizio, ma il suo allontanamento dalla casa familiare e l'eventuale corresponsione di una somma a titolo di mantenimento potrebbe offrire quello spiraglio necessario per uscire definitivamente da una tremenda situazione. Tale strumento potrà essere utilizzato anche nei casi di violenze sui minori. Non vanno, ovviamente, dimenticati gli ulteriori rimedi offerti dalla legge quali l'ammonimento del questore e la tutela penale. In particolare, l'ammonimento è uno strumento amministrativo con il quale il Questore ammonisce il colpevole delle violenze intimando la cessazione delle stesse: se l'autore dell'ammonimento dovesse continuare nella sua azione violenta, questi sarà perseguito penalmente d'ufficio e la pena sarà aumentata. Si sottolinea che l'ammonimento non costituisce condanna penale, e perciò non è necessaria la prova della commissione del reato, ma sono sufficienti semplici indizi (per es. alcuni certificati medici, foto, messaggi e quant'altro potesse rivelarsi utile). Un tema molto delicato, casi sempre diversi tra loro accomunati tutti dalla violenza perpetrata tra le mura domestiche: la consapevolezza di se e degli strumenti a disposizione potrebbe segnare la fine di una brutta pagina della propria vita ed evitare conseguenze ancora peggiori. La famiglia è tale solo se i rapporti sono sani, diversamente non v'è posto peggiore per realizzare se stessi e far crescere i propri figli. 12.10.2017 Dott. Riccardo Giroldini “Mio figlio non vuole più vedermi per colpa di mia/mio moglie/marito”: questa una delle frasi più ricorrenti negli studi legali nei casi di separazioni conflittuali, pronunciata nel 90% dei casi dai padri e nel 10% dei casi dalle madri. Le percentuali corrispondono, non a caso, a quelle relative alla collocazione del minore nell’immediatezza della separazione (nel 90% dei casi il figlio vive con la madre, nel 10% dei casi con il padre). Non è quindi una lotta dei soli padri separati ma di tutti i genitori non collocatari. Sposate o coppia di fatto, se senza figli le persone che intendono cessare la propria relazione debbono preoccuparsi generalmente delle questioni economiche che li riguardano, che già da sole causano non poche discussioni e litigi. In presenza di figli le questioni da trattare ovviamente aumentano: affidamento, collocazione, mantenimento (clicca >QUI< per un articolo sulle spese straordinarie). Tutti questi problemi sono e devono rimanere problemi degli adulti e fra adulti, senza coinvolgimento dei figli. Questi ultimi, i quali già devono subire un primo trauma dato dalla separazione dei propri genitori, in talune situazioni più problematiche subiscono ulteriori traumi che ben potrebbero essere evitati attraverso un esercizio corretto del proprio potere/dovere di genitore. Uno di questi problemi, forse il più attuale, è il cosiddetto fenomeno della “alienazione genitoriale” (in acronimo P.A.S., Parental Alienation Syndrome). La sindrome di alienazione genitoriale è quel disturbo che insorge nei casi in cui un genitore (alienante) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (alienato). Al comportamento del genitore alienante (lo si ricorda: è il genitore collocatario, cioè quello che vive con il figlio) deve corrispondere l’atteggiamento del figlio, allineato con quello del genitore convivente (“non voglio vederlo perché non ci paga gli alimenti”). È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In parole povere si parla di alienazione genitoriale quando il genitore collocatario fa il “lavaggio del cervello” al figlio che non vorrà più vedere l’altro genitore. Si discute in medicina se si tratti di sindrome o disturbo ma questa è una problematica tutta scientifica: per la Corte di Cassazione, infatti, tutte le volte in cui si verifichino degli atteggiamenti denigratori nei confronti di un genitore nei confronti dell’altro in presenza del figlio ed un conseguente comportamento del figlio allineato a quello del genitore alienante si potrà intervenire, a prescindere che si tratti di malattia o meno. L’alienazione genitoriale è causa, nel bambino, di vari effetti negativi: senso di colpa, odio verso stesso, percezione della realtà distorta e diversi altri disturbi emozionali e psicologici. Da adulto manifesterà gravi problemi di identità, avrà timore dell’intimità, percepirà spesso il senso dell’abbandono che condizionerà fortemente le sue relazioni sentimentali ed affettive, perché se non hai ricevuto l’amore di uno dei tuoi genitori, chi altri potrà amarti? I dati sono allarmanti: troppi sono i bambini colpiti da questi ripetuti e sbagliati comportamenti nei confronti del figlio che integrano una vera e propria forma di violenza su di esso (si è discusso dell’applicabilità, in questi casi, del reato di maltrattamenti in famiglia, ma non è questo il punto). L’atteggiamento del genitore collocatario si estrinseca in screditazioni dell’altro genitore (“è un cretino”, “è un poveraccio non ci paga gli alimenti”), ricatti morali (“certo che puoi vedere tuo padre non preoccuparti se rimango sola”), alterazioni di ricordi, manipolazione sentimenti (come fai a essere contento di vedere papà/mamma dopo quello che ci ha fatto?”), negazioni del ruolo dell’altro genitore (“c’è Mario al telefono” e non papà). Questi atteggiamenti possono essere volontari ma anche involontari, a volte conditi con denunce per maltrattamenti fasulle. In ogni caso è una necessità porvi rimedio. Tali atteggiamenti portano ad una rottura del rapporto del genitore non convivente con il figlio il quale, a sua volta, soffre terribilmente per gli atteggiamenti del genitore alienante. Quest’ultimo non si rende conto della sofferenza che causa al figlio, che subisce tali atteggiamenti in prima persona: la bi-genitorialità, cioè il diritto a mantenere rapporti significativi con l’altro genitore, è un valore cardine riconosciuto dalla neuropsichiatria infantile (nonché dal buon senso), ancor prima che dal diritto. Togliere questa possibilità al proprio figlio costituisce una grave violazione dei propri doveri di genitore. Si potrebbe parlare ore e ore dei problemi causati al figlio minore nei casi di PAS ma basti questo esempio che ho udito ad un recente corso di aggiornamento (sotto i riferimenti): il figlio che sente uno dei due genitori denigrare l’altro è un figlio che pensa “mia mamma (o mio padre) mi vuole bene a metà perché io per metà sono come mia mamma e per l’altra metà sono come mio papà”. Eric Berne (psicologo) diceva infatti che abbiamo un genitore interno, formato dalle figure adulte significative della nostra vita e dal quale dipendono molti dei giudizi che abbiamo su noi stessi ed il modo di relazionarsi con gli altri. Chi pone in essere tali comportamenti non è certo un buon genitore e non lo è nemmeno per il diritto. La bi-genitorlialità va mantenuta. Il genitore collocatario deve garantire il diritto di visita dell’altro genitore per il bene del figlio, non utilizzare il minore per vendette o scopi personali. Si pensa di fare il torto all’altro genitore, che certamente soffrirà per la vicenda, ma il torto più grande lo si fa al proprio figlio! Fatte queste premesse, ciò che si vuol trattare in questo ambito sono le possibili soluzioni giuridiche al problema. Si parta dal presupposto che il diritto di famiglia è retto dal principio del preminente interesse del minore: questo significa che nel prendere ogni decisione, il giudice dovrà scegliere ciò che è meglio per il figlio, cosa che sembra scontata ma non lo è. Nei cassi accertati di PAS, infatti, bisogna tener presente che il bambino non vuol più vedere il genitore alienato: attendere i tempi di una separazione e togliere forzosamente il figlio dal genitore che ha convissuto con il figlio fino a quel momento, sebbene genitore non idoneo, potrebbe causare un’ulteriore trauma al minore che potrebbe causargli danni ancor più gravi, deleteri per una sua crescita equilibrata (si pensi al caso del bambino di Cittadella inseguito a scuola dalle Forze dell’Ordine per essere affidato al padre che aveva vinto il contenzioso per l’affido contro la moglie, la quale aveva circuito il figlio contro il padre). Quindi non c’è speranza per il genitore alienato? Non è così. Il tema è dei più complessi, ogni caso è diverso, ma è possibile affermare l’esistenza di alcuni indici tali da far presumere che una determinata situazione di separazione dei genitori potrebbe dare luogo al verificarsi di casi di alienazione: la PAS è statisticamente più comune nelle famiglie ad alta emotività espressa (cioè quelle famiglie in cui i problemi di un singolo vengono trattati mediante il coinvolgimento di tutta la famiglia, compresi nonni, fratelli ecc…) ed in ogni caso non è altro che il culmine di una situazione preesistente (per un approfondimento sugli indicatori della difficoltà familiare si rimanda al “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – DSM-5”). L’operatore del diritto che si ritrovi davanti a sé una situazione che presenta questi caratteri deve adoperarsi per evitare che la situazione divenga irreversibile con pregiudizio per il minore, per il genitore alienato ed anche per il genitore alienante (che si ritroverà, in futuro, a dover gestire un figlio problematico divenuto tale a causa del cattivo esercizio dei suoi poteri/doveri di genitore). In caso di contenzioso giudiziario sarà buona cosa, già nell’atto introduttivo e prima dell’udienza presidenziale, segnalare gli elementi che potrebbero condurre ad un caso di alienazione genitoriale e chiedere immediatamente al Presidente affinché lo stesso disponga una CTU sul minore: in tal modo il Presidente avrà contezza della situazione che gli è davanti e potrà disporre con maggior efficacia i provvedimenti temporanei ed urgenti (il problema più comune, infatti, come detto sopra, è che in sede di udienza presidenziale il figlio viene spesso collocato presso uno dei due genitori senza una reale indagine sulla situazione familiare in essere, la quale viene approfondita solo con i tempi di un normale procedimento civile che si instaura a seguito della predetta udienza: spesso la situazione, protrattasi nel tempo, è irreversibile o difficilmente reversibile per mezzo di un ordine di un giudice, che non potrà, a quel punto, disporre l’affido all’altro genitore senza pensare di traumatizzare il bambino). Se già in sede di udienza presidenziale il bambino venisse collocato presso il genitore che non pone in essere comportamenti denigratori nei confronti dell’altro genitore, oppure si disponessero particolari modalità di esercizio del diritto di visita tese a garantirlo e a renderlo effettivo, il rapporto potrebbe ricucirsi con più facilità e senza traumi per il minore in considerazione del poco tempo trascorso. Strumento a disposizione delle parti, da utilizzarsi prima, durante e dopo la separazione o le controversie in Tribunale è la mediazione familiare, solo in tempi recenti ben predisposta nel territorio della provincia di Rovigo, ma punto fermo per la risoluzione delle crisi familiari a livello nazionale da anni. L’obiettivo è quello di ridurre il conflitto fra i genitori: vengono messe da parte le questioni economiche per concentrarsi sul bene dei figli, che è il punto su cui i genitori devono riuscire a cooperare e collaborare, tentando, per così dire, di separare in maniera netta tutto quanto attiene ai bisogni affettivi del bambino (necessari per una sua crescita equilibrata) da tutte le altre questioni. Attraverso la mediazione possono risolversi casi di alienazione genitoriale volontaria ed involontaria causata dal genitore collocatario, ma non tutte le situazioni sono mediabili, per cui la procedura, che viene attuata per volontà delle parti, magari ben consigliate in merito, non dovrà essere iniziata o dovrà essere interrotta per evitare l’aggravarsi della situazione (casi di sfiducia nella mediazione, casi in cui si interpella continuamente il legale per una modifica sugli accordi economici già presi, quando uno dei genitori abbia una patologia psichiatrica ecc..). La mediazione non può, quindi, essere la soluzione di ogni crisi familiare ma potrà costituire un validissimo contributo nel caso in cui i genitori litigiosi, consigliati su tale opportunità ed aiutati dalla preziosa figura del mediatore familiare, riescano a comprendere ed a mettere al primo posto i bisogni del proprio figlio. Altro strumento per tentare di risolvere situazioni denotate da crisi familiari gravi (in cui rientrano a pieno titolo anche i casi di alienazione genitoriale, oltre a, per esempio, casi di maltrattamenti in famiglia) è la creazione del cosiddetto “Spazio Neutro”, luogo di incontro fra genitori e figli sotto la supervisione di un esperto: la finalità è quella di creare un luogo neutro e allo stesso tempo protetto, per accogliere i minori ed i genitori che devono o intendono, per vari motivi, incontrarsi alla presenza del servizio sociale e sostenere gli stessi genitori in un percorso di crescita rispetto al loro ruolo genitoriale. L’obiettivo si fonda sul riconoscere il bisogno (e diritto) del minore di veder salvaguardata il più possibile la bi-genitorialità ed i legami che da essa ne derivano. Gli adulti vengono aiutati a riconoscere ed a mantenere una continuità genitoriale nei confronti dei propri figli, per i quali restano comunque, imprescindibile riferimento. In presenza di determinate situazioni si potrà chiedere al Giudice di disporre, nello specifico, incontri protetti in spazio neutro, per ricostruire, riadattare e ricostituire il rapporto genitore figlio. L’accesso allo “spazio neutro”, nei casi di alienazione genitoriale, attivato per volontà dei genitori o su ordine del Tribunale, potrebbe rivelarsi una valida soluzione nei casi di PAS prolungatisi nel tempo. Il Tribunale potrebbe ordinare in maniera specifica incontri con il genitore con queste modalità ad intervalli ravvicinati nel tempo per tutelare e porre le basi per ricostruire il rapporto genitore/figlio. Tutti i casi sono diversi, diverse le situazioni, le persone e le sfumature della vicenda, ma l’obiettivo unico deve essere quello della tutela della bi-genitorialità. Anche la legge penale offre alcuni strumenti per punire determinati comportamenti posti in essere dal genitore alienante, ma ci si deve interrogare se le denunce/querele possano essere utili ovvero deleterie e peggiorative della situazione creatasi, rendendola irreversibile. E’ invece consigliabile cercare di porre rimedio al problema e farlo nel più breve tempo possibile attraverso l’utilizzo di soluzioni costruttive come quelle sopra descritte. Ho tratto lo spunto per questo articolo a seguito di un bellissimo convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo dal titolo “Mamma non vuole, papà nemmeno” all’interno del quale è stato mostrato un cortometraggio di Amedeo Gagliardi sul tema intitolato “Mamma non vuole” che invito a vedere (proiettato anche nelle aule parlamentari come documentario scientifico – >QUI< il trailer) e in cui sono intervenuti come relatori il Presidente reggente del Tribunale di Rovigo dott. Marcello D’amico, l’avv. Giorgio Vaccaro del Foro di Roma (redattore della legge che ha parificato i figli naturali ai legittimi), la dott.ssa Barbara Bononi (psicologa forense), la dott.ssa Federica Cavarzere (Psicologa psicoterapeuta presso Ulls 5 Polesana) e la dott.ssa Donatella Renesto (assistente sociale e mediatrice familiare). Dott. Riccardo Giroldini Avete mai provato a cercare il vostro nome su google? Capita che spuntino informazioni su di noi che non ricordavamo nemmeno più. Sport, lavoro ecc…ogni volta che finiamo in un articolo, anche solo citati, ecco che Google, attraverso i suoi algoritmi, trova subito la notizia. E se alcune notizie non ci piacessero? O addirittura danneggiassero la nostra immagine? Facciamo un esempio pratico: Anno 1996, Tizio ha un negozio di abbigliamento, è spregiudicato negli affari e qualcuno gli propone di vendere merce “taroccata”. Tizio accetta pensando ai ricchi profitti ma la Guardia di Finanza scopre il giro di loschi affari e lo condanna. Vent’anni dopo Tizio apre un nuovo negozio di abbigliamento; in questi vent’anni ha continuato a lavorare nel settore come dipendente maturando esperienza e professionalità e non commetterà più gli errori del passato. Il negozio però non vende, le persone vanno in internet e cercando il nome del titolare leggono la notizia dei vestiti “taroccati” di anni prima, le voci girano, nessuno compra. Se vogliamo quello sopra è un esempio banale, ma rende l’idea. La notizia, seppur vera (per cui legittimamente inserita sul web e raccontata da alcune testate giornalistiche), oggi crea un grave danno a Tizio, che ha diritto ad una seconda chanche. Molti altri sono gli esempi: una qualsiasi condanna penale finita sul giornale (e quindi anche sul web) a distanza di anni sarà sempre visibile, anche se si tratta di una ragazzata commessa in giovane età. Oppure si pensi alla notizia di un arresto poi sfociata in un’assoluzione piena. I giornali pubblicano le notizie che fanno scalpore per cui è molto facile trovare sempre la notizia dell’arresto e mai quella dell’assoluzione. Anche una piccola notizia che non genera danni patrimoniali ma solamente morali può dar molto fastidio. Chi abita in una piccola comunità sa quanto può esser pesante lo scherno altrui in determinate situazioni. Alcune notizie andrebbero eliminate. Google è spietatamente preciso e puntuale nel rendere queste notizie di facile accessibilità, ed i giornali che pubblicano questi articoli online non si preoccupano più di eliminarli; rimangono nell’archivio del web: sembrano nascosti ma si trovano subito. Ma allora dobbiamo rassegnarci all’idea di essere per sempre denigrati per ciò che si è fatto? Non abbiamo diritto a che le nostre azioni vengano dimenticate? Ebbene si è ragionato, in risposta a queste problematiche, sulla possibilità o meno di veder riconosciuto un diritto alla cancellazione delle notizie in questione (vere ma ormai denigratorie). Tale diritto viene sancito definitivamente nel 2014, attraverso una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( C-131/12 Sent. 13/05/2014), la quale ha riconosciuto al sig. Costeja Gonzales il diritto alla rimozione di determinate notizie; il Garante della Privacy Spagnolo aveva negato tale diritto in quanto si trattava di fatti realmente accaduti. Si tratta del diritto all’oblio. Provando a dare una definizione potremmo dire che è quel diritto di chiedere ed ottenere la deindicizzazione o la cancellazione della notizia purché non vi sia un interesse pubblico alla divulgazione e sia lesivo del diritto alla riservatezza. Deindicizzare e cancellare, quali sono le differenze? La deindicizzazione si rivolge ai motori di ricerca: Google non pubblica le notizie ma le rintraccia, trova le parole chiave e le salva nel suo cervellone; Google “indicizza la notizia”. Deindicizzare significa eliminare la possibilità l’articolo sia trovato attraverso il motore di ricerca. La notizia non scompare, ma per trovarla è necessario cercarla sul sito che l’ha pubblicata, per cui risulta molto difficile venire a conoscenza di un articolo deindicizzato, seppur presente sul web. La cancellazione invece si rivolge al Web Master (gestore del sito internet) che ha pubblicato la notizia che dovrà essere eliminata. Deindicizzazione e cancellazione per veder tutelata la propria immagine sono la giusta risposta alle esigenze sopra esposte. S’è detto in precedenza che tali operazioni sono possibili a due condizioni: 1) non dev’esserci un interesse pubblico alla divulgazione; 2) deve esserci una lesione del diritto alla riservatezza. Quando tali requisiti sono rispettati? Le linee guida per poter affermare la sussistenza o meno dei predetti requisiti ci viene fornita da un Working Party dei garanti della Privacy europei i quali hanno stabilito che l’interesse pubblico alla divulgazione viene meno qualora sia trascorso un certo lasso di tempo (tra i 2 ed i 5 anni) e sempreché non si tratti di notizie aventi una rilevanza pubblica/storica (per capirci, è stata rigettata dal Garante della Privacy italiano la richiesta della cancellazione di determinate notizie perché riferite a fatti collegati al terrorismo rosso: 12 link rimandanti a reati di matrice terroristica, compiuti dal soggetto tra gli anni ’70 e ’80). Decorso un determinato periodo di tempo, quindi, si avrà diritto alla rimozione/deindicizzazione delle notizie che, seppur vere, sono in qualche modo lesive del diritto alla riservatezza. Riabilitarsi è quindi possibile anche sul web, dove le notizie circolano indisturbate. La possibilità di non rievocare più notizie simili rappresenta anche una tutela indiretta delle vittime che subiscono di riflesso la vergogna di tali reati, per cui sarà possibile anche per la stessa vittima muoversi in autonomia per rimuovere l’articolo. Il diritto all’oblio è, in conclusione, un ottimo strumento che permette la riabilitazione, in ogni sua forma, da notizie in un certo modo “fastidiose” ma vere, le quali riverberano i propri effetti nel presente. Assistiamo ad una regolamentazione di ciò che può accadere sul web, un tempo zona franca in cui il diritto nulla poteva, e questa è certamente la giusta direzione. Polesella, 13.10.2016 Gianluca Marangoni e Aurora Breda Nell'ultimo articolo avevo parlato dei nuovi diritti attribuiti ai conviventi dalla c.d. Legge Cirinnà ed avevo inoltre parlato della possibilità di stipulare un contratto di convivenza volto a definire le regole dell'assetto patrimoniale dei conviventi stessi. Dopo aver spiegato una sera le opportunità offerte da questa nuova legge, ho chiesto ad una coppia non sposata di amici (con un cane e casa in affitto) se avessero avuto voglia di fingere di trovarsi in studio (e non al bar) per redigere un contratto di convivenza. Hanno subito accettato e questo è l'accordo che ne è uscito. CONTRATTO DI CONVIVENZA Il giorno 20.05.2016 in Rovigo nel mio studio in Rovigo, Vicolo Adigetto n. 1/a, innanzi a me Avv. Antonino Giroldini iscritto all'Albo degli Avvocati di Rovigo sono comparsi il sig. Tizio e la sig.ra Caia PREMESSO - che il sig. Tizio e la sig.ra Caia sono uniti, sin dal 30.05.2011, da sinceri legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione o da matrimonio; - che il sig. Tizio e la sig.ra Caia conducono, sin dalla datadel 24.10.2014, vita comune nell'abitazione sita in Polesella alla via Don Minzoni n. 251 ove entrambi sono residenti; - che il sig. Tizio e la sig.ra Caia sono qualificati come conviventi ai sensi dell'art. 1 co. 36 della c.d. Legge Cirinnà; - che il sig. Tizio percepisce un reddito mensile pari ad € 1.600,00 netti; - che la sig.ra Caia percepisce un reddito mensile netto pari ad €. 800,00; - che il sig. Tizio risulta essere il padrone del cane Rocky registrato all'anagrafe canina al n. 123456789; - che i medesimi intendono regolamentare con il presente atto taluni profili di natura patrimoniale afferenti la loro convivenza e segnatamente stabilire ex ante il regime cui saranno soggetti i beni e i diritti acquistati a titolo oneroso in contitolarità dai conviventi o anche in titolarità esclusiva di uno dei conviventi e poi trasferiti pro quota all’altro; TUTTO CIO PREMESSO 1) i sottoscritti convengono di provvedere alle spese comuni, nella misura mensile fissa di Euro 600 , da suddividersi in tal modo: €. 400,00 a carico di Tizio ed €. 200,00 a carico di Caia in considerazione del maggior reddito di Tizio e del lavoro casalingo posto in essere da Caia quotidianamente; 1.1) Ai fini del precedente punto 1.1 )si intendono per spese comuni quelle sostenute: a) per l’alimentazione di entrambi i conviventi e dei loro ospiti occasionali; b) per l’erogazione di acqua, elettricità, gas, riscaldamento, servizi condominiali, telefono, purché in relazione all’abitazione come sopra eletta a residenza comune; c) per la pulizia dell’abitazione, compresi il salario e tutti gli oneri accessori, delle eventuali persone chiamate ad effettuarla; d) per le riparazioni ordinarie dell’abitazione come sopra eletta a residenza comune, e dei mobili a suo arredo; e) per la biancheria relativa all’abitazione come sopra eletta a residenza comune, con esclusione, quindi, della biancheria e dell’abbigliamento di ciascuno dei conviventi; f) per i servizi igienico-sanitari dell’abitazione come sopra eletta a residenza comune; g) per le spese condominiali relative all’abitazione come sopra eletta a residenza comune; h) per i viaggi e le vacanze effettuati assieme; i) per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole nata dal proprio rapporto e riconosciuta da entrambe le parti; l) per il mantenimento del cane Rocky; 1.2) Le somme necessarie al pagamento delle spese comuni verranno prelevate dal conto corrente IBAN IT.........................., aperto presso la Banca …, cointestato ed a firme disgiunte. I conviventi si impegnano ad alimentare il predetto conto corrente con versamenti da effettuarsi all’inizio di ogni mese e per importi pari previsto ai sensi del precedente punto 1). Nel caso dette somme si rivelino superiori a quanto effettivamente necessario, rimarranno depositate sul predetto conto corrente per far fronte alle spese da sostenersi successivamente. Al contrario, se esse si rivelino insufficienti, ciascun convivente provvederà tempestivamente ad integrarle, nella proporzione cui è tenuto ai sensi del precedente punto 1). 1.3) Nel caso uno dei conviventi venga a trovarsi privo di redditi, o comunque con reddito inferiore ad €. 100,00, si conviene sin da ora che le spese comuni saranno ad esclusivo carico dell’altro convivente per un periodo non superiore a 12 mesi. Decorso detto termine, cesserà di avere efficacia la presente convenzione la presente clausola, ed i sottoscritti potranno eventualmente adottare una nuova clausola sulla ripartizione delle spese comuni, ferme restando le altre clausole del presente contratto. Ai fini della presente convenzione si debbono intendere, per redditi di ciascuno dei conviventi, tutti i redditi dichiarati e dichiarabili annualmente ai fini della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche. Le imposte, tasse, contributi e oneri relativi a detti redditi sono ad esclusivo carico del suo percettore. 2) I sottoscritti, premesso che hanno eletto a residenza comune i locali dell’abitazione sita in Polesella, alla via Don Minzoni n. 251, e precisato che essa è condotta in locazione da Tizio – giusta il contratto di locazione stipulato con Sempronio il 20.05.2009, ai sensi del quale Tizio è tenuto a corrispondere al locatore mensilmente un canone di Euro 300,00– convengono che anche Caia si serva di detta abitazione, dimorando in essa, per l’intera durata della convivenza. Caia concorrerà con Tizio nel pagamento del canone di locazione nella misura del 50%; 2.1) La convenzione di cui al punto n. 2) si intende sottoposta alla condizione risolutiva della cessazione della convivenza, determinata dal decesso, dal mutuo dissenso o anche da recesso unilaterale di uno di essi conviventi comunicato per iscritto all’altro a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento A.R.; ai fini dell’efficacia del recesso unilaterale farà fede la data di ricezione della dichiarazione come comprovata dalla ricevuta di ritorno; 3) I sottoscritti Tizio e Caia, in via preliminare, allegano al presente contratto (allegato "A") un inventario, sottoscritto da entrambi, dei beni immobili e mobili acquistati da ciascuno, separatamente, prima dell’inizio della convivenza, con l’indicazione, a fianco di ogni bene, del nominativo di appartenenza, ed al riguardo concordemente e vicendevolmente riconoscono e danno atto che ciascuno di essi conserverà, nonostante la convivenza, il pieno godimento, nonché la libera disponibilità di amministrazione di ogni bene immobile e mobile di sua esclusiva proprietà; Fermo quanto previsto al comma precedente, Tizio e Caia si impegnano reciprocamente a ritrasferire all’altro la quota del cinquanta per cento (50%) dei diritti reali sui beni acquistati in costanza di convivenza, da entrambi congiuntamente o da ciascuno di essi, anche separatamente, ad esclusione di quei beni e diritti che sarebbero «personali» in base al disposto dell’art. 179 del Codice Civile. Per «costanza di convivenza» dovrà intendersi il periodo compreso tra la data in premessa indicata di inizio convivenza e la successiva data in cui, uno dei conviventi avrà manifestato all’altro per iscritto la sua decisione di far cessare l’effetto della presente convenzione. La situazione che si verrà a creare a seguito del trasferimento di cui sopra dovrà intendersi come comunione ordinaria e sarà disciplinata dagli artt. 1100 e seguenti del Codice Civile. In caso di inadempimento di uno dei conviventi al predetto obbligo di trasferimento pro quota a favore dell’altro, quest’ultimo potrà esperire l’azione di cui all’art. 2932 del Codice Civile volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre. 3.1) In relazione ai beni acquistati in comunione i sottoscritti si concedono sin da ora, reciprocamente, diritto di prelazione, a parità di condizioni, per la sola ipotesi della vendita di quota, o di parte di essa, da parte dell’altro convivente. Il convivente che intenda vendere la sua quota, o parte di essa, deve comunicarne l’intenzione all’altro convivente, precisando altresì il prezzo, le modalità di pagamento del medesimo ed eventuali altre condizioni di vendita, con raccomandata con avviso di ricevimento A.R. Il convivente potrà esercitare il diritto di prelazione comunicando all’altro convivente, con raccomandata con avviso di ricevimento A.R., l’intenzione di acquistare la quota alle condizioni propostegli, entro e non oltre … giorni dal ricevimento della proposta di vendita. Il diritto di prelazione è convenuto per il solo caso di vendita della quota, o di parte di essa, essendo esclusi, pertanto, tutti gli altri negozi costitutivi o traslativi di diritti sulla quota medesima, o su parte di essa; 4) I conviventi sono obbligati solidalmente nei confronti dei terzi per i debiti contratti da uno di essi per i bisogni della vita corrente, per le spese relative all’alloggio comune e al cane Rocky; 5) qualora uno dei conviventi, a causa di una malattia o handicap invalidante che comporti l'incapacità di intendere e di volere, non sia più in grado di prendere le decisioni a tutela della sua salute, l'altro ne diverrà il rappresentante, potendo: a) richiedere il mio ricovero o il moio trasferimento presso idonea struttura sanitaria o socio-sanitaria pubblica e/o privata convenzionata; b) verificare l’idoneità funzionale della struttura di degenza, assumendo le iniziative occorrenti affinché, sulla base delle prestazioni a cui ho diritto secondo le vigenti disposizioni nazionali e regionali, mi vengano assicurate le necessarie cure e il miglior benessere possibile; c) controllare la correttezza delle cure medico-infermieristiche e riabilitative, ivi comprese le misure dirette ad evitare ogni forma di accanimento terapeutico e ogni altra condizione lesiva della mia salute e del mio benessere; d) verifica dell’igiene ambientale e personale; 6) In caso di morte di uno dei due conviventi, l'altro sarà nominato suo rappresentante ai fini della donazione di organi, delle modalità di trattamento del corpo e delle celebrazioni funerarie; 7) la convivenza cesserà, oltre che per morte di uno di essi, per mutuo dissenso o per recesso unilaterale. Il convivente che intenda far cessare la comunione di vita lo comunica all’altro, in qualsivoglia forma. Nel caso la decisione di cessazione della convivenza sia adottata da Tizio, conduttore dell'immobile sito in Polesella alla Via Don Minzoni n 251, Caia conserva il diritto a servirsi dell’abitazione di cui al precedente per 3 mesi dal momento di ricevimento della comunicazione, che, in tal caso, Tizio deve inviare con raccomandata con avviso di ricevimento A.R.. Il diritto a servirsi dell’abitazione per il tempo sopra precisato comprende il diritto d’uso, per quel medesimo tempo, dei mobili essenziali che corredano l’abitazione, senza pregiudizio alcuno della titolarità dei medesimi. È facoltà di Caia, anziché servirsi dell’abitazione come sopra precisato, pretendere da Tizio la somma di Euro 500, sempre che Tizio non preferisca, anziché erogare detta somma, consentire l’uso dell’abitazione nei modi e per il tempo sopra indicati; 7.1) Alla cessazione della convivenza per qualsivoglia causa, fatto salvo quanto previsto dai commi 36 e ss. dell'art. 1 della c.d. Legge Cirinnà, ciascun convivente, ovvero i suoi successori legittimi e/o testamentari, ha diritto di chiedere la divisione degli eventuali beni comuni. 7.2) Alla cessazione della convivenza per causa diversa dalla morte, il cane Rocky sarà affidato a Caia, che provvederà autonomamente ai bisogni ed al mantenimento dello stesso. Le spese per il passaggio di proprietà del cane saranno poste a carico di Caia; 8) Qualunque controversia dovesse sorgere in relazione al presente contratto che abbia ad oggetto diritti disponibili, comprese quelle concernenti la sua validità, interpretazione ed esecuzione, sarà deferita al giudizio di un arbitro designato di comune accordo dai conviventi. Nel caso in cui i conviventi, per qualsivoglia causa, non giungano alla concorde designazione dell’arbitro, ciascuno di essi potrà chiederne la designazione al Presidente del Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Rovigo; L'arbitrato sarà irrituale e secondo equità; Letto Confermato e Sottoscritto ****** Questa bozza di accordo, assolutamente non completa (vanno irrobustite le premesse, mancano delle clausole di chiusura nonché accorgimenti sulla forma del contratto), redatta con l'unico scopo di fare chiarezza sulle possibilità che offre questo contratto, potrebbe essere integrata con clausole differenti o più specifiche, per meglio adattarsi alle esigenze della coppia. Ad esempio, potrebbero stabilirsi delle norme volte al regolare, in caso di cessazione della convivenza, le sorti di una eventuale casa di proprietà (acquistata in costanza di convivenza) e del relativo mutuo (chi lo paga? come? in che modo?). Tizio potrebbe, ad esempio, decidere di acquistare la titolarità della casa accollandosi il mutuo, ma non sarebbe una decisione semplice per lo sforzo economico richiestogli: per tutelarlo, in via preventiva, si potrebbe aggiungere una clausola che garantisca a Tizio, in questi casi, un periodo di prova di 12 mesi prima di andare dal notaio per fare il passaggio di proprietà. Potrebbero anche stabilirsi delle maggiori tutele in capo a Caia in caso di cessazione della convivenza, qualora nascessero dei figli dal rapporto, ad esempio prolungando il diritto di coabitazione alla cessazione della convivenza o stabilendo che Caia avrà il diritto di abitare nella casa comune in via esclusiva per un periodo di 6 mesi o finquando non sarà definito un accordo per l'affidamento del/dei figli. Con l'aiuto del legale o del notaio di fiducia, potrebbe essere redatto in pochi incontri un contratto di convivenza su misura per tutelare se stessi, i propri beni, eventuali figli e per evitare litigi durante, ma soprattutto alla fine (non sperata) del rapporto di coppia, e di conseguenza per non finire in tribunale per nulla o, peggio, per ripicca. 20.05.2016 Dott. Riccardo Giroldini |