“Mio figlio non vuole più vedermi per colpa di mia/mio moglie/marito”: questa una delle frasi più ricorrenti negli studi legali nei casi di separazioni conflittuali, pronunciata nel 90% dei casi dai padri e nel 10% dei casi dalle madri. Le percentuali corrispondono, non a caso, a quelle relative alla collocazione del minore nell’immediatezza della separazione (nel 90% dei casi il figlio vive con la madre, nel 10% dei casi con il padre). Non è quindi una lotta dei soli padri separati ma di tutti i genitori non collocatari. Sposate o coppia di fatto, se senza figli le persone che intendono cessare la propria relazione debbono preoccuparsi generalmente delle questioni economiche che li riguardano, che già da sole causano non poche discussioni e litigi. In presenza di figli le questioni da trattare ovviamente aumentano: affidamento, collocazione, mantenimento (clicca >QUI< per un articolo sulle spese straordinarie). Tutti questi problemi sono e devono rimanere problemi degli adulti e fra adulti, senza coinvolgimento dei figli. Questi ultimi, i quali già devono subire un primo trauma dato dalla separazione dei propri genitori, in talune situazioni più problematiche subiscono ulteriori traumi che ben potrebbero essere evitati attraverso un esercizio corretto del proprio potere/dovere di genitore. Uno di questi problemi, forse il più attuale, è il cosiddetto fenomeno della “alienazione genitoriale” (in acronimo P.A.S., Parental Alienation Syndrome). La sindrome di alienazione genitoriale è quel disturbo che insorge nei casi in cui un genitore (alienante) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (alienato). Al comportamento del genitore alienante (lo si ricorda: è il genitore collocatario, cioè quello che vive con il figlio) deve corrispondere l’atteggiamento del figlio, allineato con quello del genitore convivente (“non voglio vederlo perché non ci paga gli alimenti”). È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In parole povere si parla di alienazione genitoriale quando il genitore collocatario fa il “lavaggio del cervello” al figlio che non vorrà più vedere l’altro genitore. Si discute in medicina se si tratti di sindrome o disturbo ma questa è una problematica tutta scientifica: per la Corte di Cassazione, infatti, tutte le volte in cui si verifichino degli atteggiamenti denigratori nei confronti di un genitore nei confronti dell’altro in presenza del figlio ed un conseguente comportamento del figlio allineato a quello del genitore alienante si potrà intervenire, a prescindere che si tratti di malattia o meno. L’alienazione genitoriale è causa, nel bambino, di vari effetti negativi: senso di colpa, odio verso stesso, percezione della realtà distorta e diversi altri disturbi emozionali e psicologici. Da adulto manifesterà gravi problemi di identità, avrà timore dell’intimità, percepirà spesso il senso dell’abbandono che condizionerà fortemente le sue relazioni sentimentali ed affettive, perché se non hai ricevuto l’amore di uno dei tuoi genitori, chi altri potrà amarti? I dati sono allarmanti: troppi sono i bambini colpiti da questi ripetuti e sbagliati comportamenti nei confronti del figlio che integrano una vera e propria forma di violenza su di esso (si è discusso dell’applicabilità, in questi casi, del reato di maltrattamenti in famiglia, ma non è questo il punto). L’atteggiamento del genitore collocatario si estrinseca in screditazioni dell’altro genitore (“è un cretino”, “è un poveraccio non ci paga gli alimenti”), ricatti morali (“certo che puoi vedere tuo padre non preoccuparti se rimango sola”), alterazioni di ricordi, manipolazione sentimenti (come fai a essere contento di vedere papà/mamma dopo quello che ci ha fatto?”), negazioni del ruolo dell’altro genitore (“c’è Mario al telefono” e non papà). Questi atteggiamenti possono essere volontari ma anche involontari, a volte conditi con denunce per maltrattamenti fasulle. In ogni caso è una necessità porvi rimedio. Tali atteggiamenti portano ad una rottura del rapporto del genitore non convivente con il figlio il quale, a sua volta, soffre terribilmente per gli atteggiamenti del genitore alienante. Quest’ultimo non si rende conto della sofferenza che causa al figlio, che subisce tali atteggiamenti in prima persona: la bi-genitorialità, cioè il diritto a mantenere rapporti significativi con l’altro genitore, è un valore cardine riconosciuto dalla neuropsichiatria infantile (nonché dal buon senso), ancor prima che dal diritto. Togliere questa possibilità al proprio figlio costituisce una grave violazione dei propri doveri di genitore. Si potrebbe parlare ore e ore dei problemi causati al figlio minore nei casi di PAS ma basti questo esempio che ho udito ad un recente corso di aggiornamento (sotto i riferimenti): il figlio che sente uno dei due genitori denigrare l’altro è un figlio che pensa “mia mamma (o mio padre) mi vuole bene a metà perché io per metà sono come mia mamma e per l’altra metà sono come mio papà”. Eric Berne (psicologo) diceva infatti che abbiamo un genitore interno, formato dalle figure adulte significative della nostra vita e dal quale dipendono molti dei giudizi che abbiamo su noi stessi ed il modo di relazionarsi con gli altri. Chi pone in essere tali comportamenti non è certo un buon genitore e non lo è nemmeno per il diritto. La bi-genitorlialità va mantenuta. Il genitore collocatario deve garantire il diritto di visita dell’altro genitore per il bene del figlio, non utilizzare il minore per vendette o scopi personali. Si pensa di fare il torto all’altro genitore, che certamente soffrirà per la vicenda, ma il torto più grande lo si fa al proprio figlio! Fatte queste premesse, ciò che si vuol trattare in questo ambito sono le possibili soluzioni giuridiche al problema. Si parta dal presupposto che il diritto di famiglia è retto dal principio del preminente interesse del minore: questo significa che nel prendere ogni decisione, il giudice dovrà scegliere ciò che è meglio per il figlio, cosa che sembra scontata ma non lo è. Nei cassi accertati di PAS, infatti, bisogna tener presente che il bambino non vuol più vedere il genitore alienato: attendere i tempi di una separazione e togliere forzosamente il figlio dal genitore che ha convissuto con il figlio fino a quel momento, sebbene genitore non idoneo, potrebbe causare un’ulteriore trauma al minore che potrebbe causargli danni ancor più gravi, deleteri per una sua crescita equilibrata (si pensi al caso del bambino di Cittadella inseguito a scuola dalle Forze dell’Ordine per essere affidato al padre che aveva vinto il contenzioso per l’affido contro la moglie, la quale aveva circuito il figlio contro il padre). Quindi non c’è speranza per il genitore alienato? Non è così. Il tema è dei più complessi, ogni caso è diverso, ma è possibile affermare l’esistenza di alcuni indici tali da far presumere che una determinata situazione di separazione dei genitori potrebbe dare luogo al verificarsi di casi di alienazione: la PAS è statisticamente più comune nelle famiglie ad alta emotività espressa (cioè quelle famiglie in cui i problemi di un singolo vengono trattati mediante il coinvolgimento di tutta la famiglia, compresi nonni, fratelli ecc…) ed in ogni caso non è altro che il culmine di una situazione preesistente (per un approfondimento sugli indicatori della difficoltà familiare si rimanda al “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – DSM-5”). L’operatore del diritto che si ritrovi davanti a sé una situazione che presenta questi caratteri deve adoperarsi per evitare che la situazione divenga irreversibile con pregiudizio per il minore, per il genitore alienato ed anche per il genitore alienante (che si ritroverà, in futuro, a dover gestire un figlio problematico divenuto tale a causa del cattivo esercizio dei suoi poteri/doveri di genitore). In caso di contenzioso giudiziario sarà buona cosa, già nell’atto introduttivo e prima dell’udienza presidenziale, segnalare gli elementi che potrebbero condurre ad un caso di alienazione genitoriale e chiedere immediatamente al Presidente affinché lo stesso disponga una CTU sul minore: in tal modo il Presidente avrà contezza della situazione che gli è davanti e potrà disporre con maggior efficacia i provvedimenti temporanei ed urgenti (il problema più comune, infatti, come detto sopra, è che in sede di udienza presidenziale il figlio viene spesso collocato presso uno dei due genitori senza una reale indagine sulla situazione familiare in essere, la quale viene approfondita solo con i tempi di un normale procedimento civile che si instaura a seguito della predetta udienza: spesso la situazione, protrattasi nel tempo, è irreversibile o difficilmente reversibile per mezzo di un ordine di un giudice, che non potrà, a quel punto, disporre l’affido all’altro genitore senza pensare di traumatizzare il bambino). Se già in sede di udienza presidenziale il bambino venisse collocato presso il genitore che non pone in essere comportamenti denigratori nei confronti dell’altro genitore, oppure si disponessero particolari modalità di esercizio del diritto di visita tese a garantirlo e a renderlo effettivo, il rapporto potrebbe ricucirsi con più facilità e senza traumi per il minore in considerazione del poco tempo trascorso. Strumento a disposizione delle parti, da utilizzarsi prima, durante e dopo la separazione o le controversie in Tribunale è la mediazione familiare, solo in tempi recenti ben predisposta nel territorio della provincia di Rovigo, ma punto fermo per la risoluzione delle crisi familiari a livello nazionale da anni. L’obiettivo è quello di ridurre il conflitto fra i genitori: vengono messe da parte le questioni economiche per concentrarsi sul bene dei figli, che è il punto su cui i genitori devono riuscire a cooperare e collaborare, tentando, per così dire, di separare in maniera netta tutto quanto attiene ai bisogni affettivi del bambino (necessari per una sua crescita equilibrata) da tutte le altre questioni. Attraverso la mediazione possono risolversi casi di alienazione genitoriale volontaria ed involontaria causata dal genitore collocatario, ma non tutte le situazioni sono mediabili, per cui la procedura, che viene attuata per volontà delle parti, magari ben consigliate in merito, non dovrà essere iniziata o dovrà essere interrotta per evitare l’aggravarsi della situazione (casi di sfiducia nella mediazione, casi in cui si interpella continuamente il legale per una modifica sugli accordi economici già presi, quando uno dei genitori abbia una patologia psichiatrica ecc..). La mediazione non può, quindi, essere la soluzione di ogni crisi familiare ma potrà costituire un validissimo contributo nel caso in cui i genitori litigiosi, consigliati su tale opportunità ed aiutati dalla preziosa figura del mediatore familiare, riescano a comprendere ed a mettere al primo posto i bisogni del proprio figlio. Altro strumento per tentare di risolvere situazioni denotate da crisi familiari gravi (in cui rientrano a pieno titolo anche i casi di alienazione genitoriale, oltre a, per esempio, casi di maltrattamenti in famiglia) è la creazione del cosiddetto “Spazio Neutro”, luogo di incontro fra genitori e figli sotto la supervisione di un esperto: la finalità è quella di creare un luogo neutro e allo stesso tempo protetto, per accogliere i minori ed i genitori che devono o intendono, per vari motivi, incontrarsi alla presenza del servizio sociale e sostenere gli stessi genitori in un percorso di crescita rispetto al loro ruolo genitoriale. L’obiettivo si fonda sul riconoscere il bisogno (e diritto) del minore di veder salvaguardata il più possibile la bi-genitorialità ed i legami che da essa ne derivano. Gli adulti vengono aiutati a riconoscere ed a mantenere una continuità genitoriale nei confronti dei propri figli, per i quali restano comunque, imprescindibile riferimento. In presenza di determinate situazioni si potrà chiedere al Giudice di disporre, nello specifico, incontri protetti in spazio neutro, per ricostruire, riadattare e ricostituire il rapporto genitore figlio. L’accesso allo “spazio neutro”, nei casi di alienazione genitoriale, attivato per volontà dei genitori o su ordine del Tribunale, potrebbe rivelarsi una valida soluzione nei casi di PAS prolungatisi nel tempo. Il Tribunale potrebbe ordinare in maniera specifica incontri con il genitore con queste modalità ad intervalli ravvicinati nel tempo per tutelare e porre le basi per ricostruire il rapporto genitore/figlio. Tutti i casi sono diversi, diverse le situazioni, le persone e le sfumature della vicenda, ma l’obiettivo unico deve essere quello della tutela della bi-genitorialità. Anche la legge penale offre alcuni strumenti per punire determinati comportamenti posti in essere dal genitore alienante, ma ci si deve interrogare se le denunce/querele possano essere utili ovvero deleterie e peggiorative della situazione creatasi, rendendola irreversibile. E’ invece consigliabile cercare di porre rimedio al problema e farlo nel più breve tempo possibile attraverso l’utilizzo di soluzioni costruttive come quelle sopra descritte. Ho tratto lo spunto per questo articolo a seguito di un bellissimo convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo dal titolo “Mamma non vuole, papà nemmeno” all’interno del quale è stato mostrato un cortometraggio di Amedeo Gagliardi sul tema intitolato “Mamma non vuole” che invito a vedere (proiettato anche nelle aule parlamentari come documentario scientifico – >QUI< il trailer) e in cui sono intervenuti come relatori il Presidente reggente del Tribunale di Rovigo dott. Marcello D’amico, l’avv. Giorgio Vaccaro del Foro di Roma (redattore della legge che ha parificato i figli naturali ai legittimi), la dott.ssa Barbara Bononi (psicologa forense), la dott.ssa Federica Cavarzere (Psicologa psicoterapeuta presso Ulls 5 Polesana) e la dott.ssa Donatella Renesto (assistente sociale e mediatrice familiare). Dott. Riccardo Giroldini |